Oramai decine di milioni di persone nel mondo e diversi milioni in Italia sono state condotte ad assumere varie molecole chimiche, chiamate impropriamente psicofarmaci (farmaci per l’Anima sicuramente non sono), con l’aspettativa di superare, o quantomeno di affievolire, molteplici situazioni di sofferenza e di dolore psico-emozionale.

In questi ultimi anni poi si è determinato l’estendersi di tale preoccupante fenomeno anche alle fasce infantili ed adolescenziali; fenomeno opportunamente contrastato in Italia da iniziative, come “Giù le mani dai bambini”, che di certo hanno evitato che si ripetesse nel nostro Paese il dilagare prescrittivo verificatosi negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei.

Diverse sono le ragioni di una diffusione talmente estesa e capillare.
In primis un’evidente e smaccata strategia di penetrazione commerciale delle industrie farmaceutiche, certamente più attente ai profitti che alla salute delle persone; nel contempo attente a rendere pubblici risultati di ricerche un pò “addomesticati”, sia per quanto riguarda la reale efficacia, sia per quanto riguarda gli effetti collaterali delle varie molecole.

Secondariamente l’interesse, più o meno consapevole, di politici ed amministratori istituzionali a medicalizzare il disagio psichico, facendo sì che cittadini stressati, delusi e frustrati per la vita svolta in una società consumistica ed in profonda crisi valoriale vengano piuttosto a considerarsi, e ad essere considerati, come malati bisognosi di assumere un qualche “buon” farmaco che li riabiliti in tempi brevi alle incombenze lavorative e familiari; o che non li faccia essere troppo reattivi e rivendicativi se sfruttati, disoccupati o emarginati.

In terzo luogo quell’approccio culturale proposto in molti ambiti universitari, medici e sanitari che, seguendo l’orientamento materialistico-organicistico e diagnostico-prescrittivo, riduce il sintomo di sofferenza psichica ad un’alterazione dei circuiti neurotrasmettitoriali cerebrali, su quasi sicura determinazione genetica; e che propone l’intervento farmacologico per un sempre maggior numero di “malattie” o “disturbi” mentali (basti vedere il continuo proliferare di nuove diagnosi nelle ripetute revisioni dei manuali diagnostici internazionalmente validati ed accreditati).

In quarto luogo le frequenti iniziative, disinformative più che informative, attuate sui diversi mezzi di comunicazione che, magari coinvolgendo il “luminare di grido” e/o il personaggio famoso “miracolato”, propongono il messaggio del farmaco irrinunciabile e salvifico.

In ultimo luogo, ovviamente non l’ultimo,la comprensibile tendenza di chi si trovi in una situazione di intenso dolore psichico ed emozionale ad “appoggiarsi” a qualsiasi sostanza, pur di venirne fuori rapidamente e senza strascichi.

Ora, si capisce bene come l’intreccio tra questi e magari altri aspetti faccia sì che continui ad aumentare il numero di persone che vengono portate all’assunzione di uno psicofarmaco.

Certamente per quanto concerne le situazioni psichiatriche più gravi,a livello sintomatico e relazionale-sociale, nel momento istituzionale attuale è in realtà difficilmente proponibile un intervento complessivo di tipo psico-sociale in cui non venga iniziato un trattamento farmacologico; mancano infatti del tutto un adeguato atteggiamento culturale e mentale per ipotizzarlo, la preparazione per poterlo fare, un congruo numero di operatori per concretizzarlo.

Esistono esperienze internazionali che hanno dimostrato che ciò è non solo possibile, ma anche vantaggioso rispetto all’impostazione routinaria, ma ovviamente singole esperienze non sono state sufficienti per modificare approcci terapeutici monolitici ed impermeabili a spinte innovative. Visto poi che la maggior parte delle ricerche in ambito sanitario viene promossa dalle industrie farmaceutiche, quale multinazionale sponsorizzerebbe degli studi tesi a dimostrare non solo l’inutilità, ma anche la dannosità a medio-lungo termine dell’utilizzo di psicofarmaci nei casi psichiatrici gravi?

Ma il problema ulteriore è che anche per situazioni di sofferenza psichica meno estrema (per intenderci e non per ridurre a mera diagnosi, stati depressivi, stati ansiosi, crisi di panico, fobie, stati ossessivi …) è oramai chiaro come si sia riusciti, in modo insinuante e subdolo, a creare una moltitudine di persone dipendenti da psicofarmaci e toccati dai più vari effetti collaterali, in particolare il deleterio “rimodellamento” artificiale dei circuiti neuro-cerebrali. Inoltre, per certi versi soprattutto, a queste persone non viene permessa l’intesa del sintomo come preziosa opportunità di comprensione di sè e di trasformazione esistenziale, non venendo loro offerti percorsi di psicoterapia, interventi di sostegno relazionale (gruppi di auto-mutuo-aiuto), l’insegnamento di pratiche introspettive e di modifica psico-fisiologica ed energetica in una prospettiva di auto-cura con metodi naturali (p.es. meditazione, yoga, training autogeno, reiki, pranic healing, rio abierto, etc.).